In Quaresima è bene parlare del peccato, vocabolo presente in ogni tempo, ma specialmente nel nostro. Certamente non manca il positivo, il bello e anche il grande e luminoso, disturbato, però, da una fitta e imperante tenebra.
Un dato inquietante si registra nel fatto che i vocaboli del negativo sono più numerosi di quelli del positivo.
Pare che la parola ancestrale, che ha dato origine al negativo, sia «adikia», nella nostra tradizione greco latina «ingiustizia». Il male quindi si presenta come pensiero e azione «ingiusta».
Nell’antichità greca «adikia» traduce ventiquattro vocaboli del negativo. Ne cito alcuni dei più comuni e frequenti in ogni letteratura: inganno, illusione, menzogna, disonestà, violenza, cattiveria, delitto…
Nella Bibbia, dall’Antico al Nuovo Testamento, domina la parola «peccato», in latino «peccatum», «culpa» (colpa) «noxa» (azione infamante, scellerata), specialmente contro la donna: infamia disonorante al massimo grado contro gli Dei e l’umanità.
Il concetto fondamentale della Bibbia è che il peccato è contemporaneamente disobbedienza ai comandamenti di Dio e apostasia dalla fede con gli stessi significati della lettaratura latina.
Il peccato, quindi, considerato un fenomeno distruttore sacrale e comunitario mette in moto un processo di sventura che tocca ognuno.
Paolo, nella lettera ai Romani, parlando dei pagani è molto severo: «In realtà, afferma, l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che è Dio si può conoscere, è loro manifesto: Dio stesso lo ha manifestato».
Parlando ai credenti che hanno fede in Dio, conosciuta attraverso gli elementi della creazione, Paolo si accorge che la loro condotta morale non è limpida, per cui: «sono inescusabili… perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria… Mentre si dichiaravano sapienti sono diventati stolti, per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami» (Rom. 1,18 ss).
Nel nostro presente si può parlare di «passioni infami»?
Non oso la risposta. Tutti siamo convinti che la crisi odierna non è solo nella «economia», ma soprattutto nella morale quotidiana.
È urgente per la civiltà parlare di «peccato».
Il discorso sul peccato deve tener conto del fatto culturale.
La cultura attuale porta abbondanti segni di malessere, perché esprime lo stato della persona che non realizza se stessa e perde la propria identità. Essa è tesa ad affermare la libertà e a proclamare, nella realtà quotidiana, la sua vittoria su tutte le proibizioni e tutti i precetti di legge, sia civile sia religiosa e magnificare la sua conquista di spazi prima proibiti ed ora considerati tabu.
Per cui il pensiero attuale rifugge dal giudizio morale e giunge alla negazione del bene e del male, come ciò che lede i diritti dell’individuo che vengono così sminuiti tanto da non esistere più.
Una Quaresima di riflessione, penitenza e digiuno (non solo dietetico) è urgente per non cadere nel buio.
Mons. Giovanni Battista Chiaradia