Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo (Ezechiele 34, 11-12. 15-17 Matteo 25,31-46)
La solennità di Cristo Re è di istituzione recente (Pio XI nel 1925). Il simbolo regale applicato a Dio è classico nella Bibbia per esprimere il mistero del Signore che, assiso nel regno dei Cieli riesce ad abbracciare, guidare, governare il cosmo intero, così cantano i salmi (93, 1; 97, 1; 99, 4).
Ezechiele, il profeta dell’esilio babilonese, ce lo presenta come «il Pastore del suo popolo» come Omero che chiamava i sovrani «i pastori delle nazioni». È una presentazione luminosa da meditare: è un pastore che non si comporta da sovrano distaccato e magari sfruttatore ma che è amoroso compagno di viaggio delle sue pecore. Si noti la bellissima serie della premura di Dio descritta dai verbi presenti nel brano di Ezechiele: «cerca le pecore, le cura, le passa in rassegna, le segue di passo in passo, le raduna dalla dispersione, le conduce al pascolo, le fa riposare, va a cercare la pecora perduta, riconduce la smarrita, fascia la ferita, cura la malata. È l’impegno di amore che il nostro Re pastore ha per ciascuno di noi! Come non possiamo donarGli tutta la nostra disponibilità!
Ezechiele chiude poi il discorso del Re «Pastore» preparando la grandiosa scena del Re Pastore e Giudice di Matteo.
«Ecco Io giudicherò, dice il Signore al suo gregge, giudicherò tra pecora e pecora, tra montoni e capri».
Dio ha disegnato nella storia un suo progetto di salvezza e convoca l’uomo attraverso la disponibilità alle sue cure amorose, alle sue «premure di Pastore».
La salvezza è per coloro che hanno vissuto in sintonia con le «premure» del Cristo Re Pastore; hanno preparato cibo per gli affamati, un bicchiere per gli assetati, un vestito per chi era nudo, hanno stretto in un abbraccio il carcerato e il malato, hanno spalancato la porta al forestiero, che camminava nel freddo della notte. Ma la salvezza è con vera tristezza che non viene donata a chi ha ignorato il grido del fratello sofferente, a chi resta chiuso nel suo gretto egoismo, a chi è preoccupato di accumulare solo per se.
Alla sera della storia e della vita Cristo entra in scena come il Re che scioglie il groviglio del bene e del male, che fa brillare il grano separandolo dalla zizzania da bruciare, che rivela la vera pecora del suo gregge allontanandola dal capro, simbolo di violenza e di orgoglio.
Ai primi Cristo apre la via del Regno cioè della comunione con Lui; agli altri resta solo il silenzio della morte e delle tenebre.
Oggi Cristo Re e «pastore» delle pecore e guardiano delle nostre anime fa balenare davanti a noi il destino ultimo che ci attende e ci invita alla scelta decisiva per il suo progetto di salvezza. La sua parola è severa e serena allo stesso tempo, ci invita ad un impegno serio e faticoso, ma è anche fonte di gioia e di speranza.
Chiamami Signore fino a rompere gridando la mia sordità! Fa risplendere in me le tue «premure» risplendenti di luce per allontanare la mia cecità. Fammi ardere del desiderio della tua pace!
(P. Lorenzo Giordano sj)