In questo mese di novembre che ci invita a ricordare i nostri cari defunti, una nonna anziana, piuttosto acciaccata, mi ha raccontato le sue reazioni al pensiero della propria morte. Mi ha detto tre cose: la prima, che non riusciva a liberarsi dal pensiero della morte che l’ossessionava e le amareggiava la vita; la seconda, che quel pensiero le aveva tolto la voglia di pregare come di solito aveva fatto e faceva; la terza, che sentiva venire meno la sua fede nell’aldilà, di cui non sappiamo gran che per non dire niente del tutto. Credo che quella nonna mi ha raccontato difficoltà che si vanno diffondendo, dato che il numero delle persone anziane in Italia è in crescita, e non tutte in buona salute o accudite e curate con affetto. Forse le domande di quella nonna esprimevano una difficoltà comune a molte persone a vivere serenamente la propria vecchiaia, e ho pensato di trattarne in questa mia comunicazione.
Più avanza l’età, il pensiero della morte ritorna più facilmente alla mente e non è facile liberarsene o rimuoverlo come in gioventù o nell’età adulta. Qualcuno dice che la morte pone fine a tutta la nostra vita, e la nostra vita svanisce nel nulla. Noi uomini siamo mortali, come dicevano gli antichi greci pagani, e solo gli dei sono immortali, ed è proprio la condizione mortale che ci separa e distingue dagli dei; o, come dicono alcuni filosofi moderni, siamo essere finiti e le nostre possibilità di decidere liberamente delle scelte e del senso stesso della nostra esistenza, di progettare e agire come decidiamo, non vanno più in là di quel destino di morte che ci accompagna fin dalla nascita in modo insuperabile per tutto il tempo della nostra esistenza. La morte ci toglie tutte le nostre possibilità, e non ce ne offre alcun’altra. Questi sono pensieri umani sulla morte, degni di riflessione, per il forte richiamo che contengono ai limiti umanamente invalicabili della nostra esistenza.
Ma che dice il Vangelo e la parola di Dio a proposito della morte propria? Che dice ai credenti e che cosa propone a credere alla libertà dei non credenti? Il vangelo imposta il problema in tutt’altro modo: dico e spiego. La morte non ha la forza di porre fine al nostro rapporto con Dio, quel rapporto iniziato da Dio con il dono del battesimo che abbiamo ricevuto e abbiamo custodito e sviluppato con la preghiera quotidiana, l’assistenza alla messa, la pratica dei sacramenti, i momenti nei quali abbiamo vissuto il nostro rapporto con Dio, in uno scambio di unione amorosa tra Dio e noi. Questo rapporto con Dio non può essere distrutto a o azzerato dalla morte.
Perché? La risposta al perché sta nel racconto della passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo. Ricordiamo la preghiera di Gesù nell’orto degli ulivi? Avvicinandosi l’ora della sua morte, narra il vangelo, Gesù fu preso da grande angoscia e tristezza, e da un rifiuto radicale della morte. Gesù ha vissuto egli stesso l’insofferenza e una profonda ripugnanza contro la morte. Gesù era Figlio di Dio Padre. Ma egli respinse la tentazione del diavolo, quando ebbe fame, di cambiare i sassi del deserto in pane per sfamarsi, cioè di ricorrere alla sua potenza divina per risolvere i suoi problemi. Ha voluto essere in tutto simile agli uomini, tranne nel peccato, condividere fino in fondo i momenti più duri della nostra vita. E’ quanto dice nell’orto nella sua preghiera: passi da me questo calice, ma non la mia ma la tua volontà sia fatta, la preghiera attesta la sua ripugnanza ma non gli toglie la fiducia nel Padre.
Questa preghiera così profondamente umana fu esaudita dal Padre. Il Padre lo risuscitò. Al Figlio fedele alla sua missione di amare gli uomini fino alla morte, per liberarli dal peccato e dalla morte che li destina al nulla, il Padre risponde con un amore fedele, un amore più forte della morte. Noi risorgiamo perché l’amore del Padre per il Figlio suo e per i figli suoi è fedele e non può essere vinto dalla morte. Dio Padre non abbandona i suoi figli al destino di una morte o alla fine nel nulla, perché li ama ed è fedele al suo amore per loro.
Che cosa ci annuncia questa parola del Signore? Ci annuncia insieme che la morte è la prova suprema, o l’estrema tentazione a non credere; la morte con la sua durezza è ciò che rende oscura del tutto la nostra fede in Dio Padre, fino al punto che san Paolo dice che se non risorgiamo, la nostra fede in Dio e in cristo è vana, destituita di qualsiasi fondamento. La morte è infatti l’imbocco di un’oscura caverna di cui non sappiamo in anticipo se è cieca o è un tunnel. Ma la resurrezione del Cristo e la nostra resurrezione sono reali e sperabili, fondate sull’amore che il Padre ha per tutti i suoi figli, un amore che vince la morte. La nonna aveva ragione: il pensiero della morte mette a dura prova la fede e la fiducia in Dio Padre; ma non bisogna dimenticare come Gesù l’ha vissuta, e cioè nella preghiera dell’orto e in quella sulla croce: “nelle tue mani o Padre affido il mio spirito”, l’atto di estrema fiducia nella fedeltà del Padre all’amore per i suoi figli.
Liberati dall’angoscia e dal turbamento della morte, dobbiamo continuare a pensare alla morte? La risposta del vangelo è chiarissima. Non pensare alla morte che non ha potere di incidere sul nostro rapporto con Dio e sul senso ultimo della nostra vita intera; pensare invece a vivere serenamente la propria vita, da giovani e da anziani. L’unica maniera di prepararsi alla morte, suggerito dal vangelo è di vivere serenamente la propria vita, in gioventù come in vecchiaia. Chi vive da buon cristiano o chi vive onestamente la sua vita, è sempre pronto a incontrare Dio Padre nel momento della propria morte. Niente anticipazioni, oltre tutto dannose alla salute. E alla domanda: che c’è di là? l’unica risposta è: Dio Padre che ti è venuto incontro in Cristo Gesù di qua, in questa tua vita. Il vangelo non ci ha fornito inutili mappe del Paradiso. Il rapporto nostro con Dio è un rapporto non con le cose terrene o celesti, ma interpersonale, affettivo e fiducioso, con Dio. Ce lo ricorda anche Dante, che nel paradiso incontra uomini e Dio uno e trino. (P. Giuseppe Pirola sj)