Abbiamo sentito parlare spesso in questi anni di scandalosi comportamenti di cristiani, laici, sacerdoti, autorità ecclesiastiche. Sempre restando fermo l’obbligo della verifica dell’accusa, e cioè che gli scandali denunciati siano veri, che fare da buoni cristiani?
C’è un capitolo del vangelo che ne tratta, un capitolo per un verso molto ignorato e per l’altro necessario per la buona vita fraterna della comunità cristiana: il discorso detto ecclesiastico o meglio ecclesiale che propone le parole del Signore fondamentali per affrontare il caso. Il discorso è diviso in due parti: la prima è una denuncia del peccato gravissimo dello scandalo; la seconda si occupa di peccati minori non altrettanto gravissimi sempre interni alla comunità cristiana: che fare verso il fratello che commette qualche peccato, e offende gli altri fratelli.
La prima parte comincia da una questione sorta entro il gruppo degli apostoli, una questione che è ritornata e ritorna nella vita della Chiesa e ha spesso compromesso il suo servizio apostolico a tutti gli uomini: chi è il più grande nel regno di Dio? Anche il card. Martini nell’ultimo suo libro ha denunciato apertamente la vanità degli uomini di Chiesa e dei problemi di carriera e potere che li agitano. Gesù parte da un fatto che divideva già i suoi apostoli e non lascia cadere la domanda che i suoi discepoli gli sottopongono. E risponde: il più grande è chi sarà capace di diventare il più piccolo, di diventare come un bambino, di rinascere cioè dalla vita quotidiana, quella detta normale e che normale non è affatto, preda di conflitti e prevaricazioni sugli altri, per nascere e crescere alla vita nuova e libera dal peccato, e vivere da uomo del Regno di Dio, cui simili vizi sono del tutto estranei. Questo voler prevalere sugli altri è appunto lo scandalo, un’azione di alcuni della comunità che è scandalosa per la fede dei piccoli o dei fedeli a Cristo, e scuote la loro fede in Dio.
Gesù è lucido e realista: ci saranno scandali, azioni che mettono in discussione la fede dei piccoli, di coloro che crescono e vivono fedelmente la loro vocazione al regno, privi di ogni potere, importanza, parola, che sono esposti senza difese alle prepotenze altrui. Anzi: con crudo realismo aggiunge che è necessario che gli scandali avvengano. La necessità che ci siano scandali dovuta al libero gioco delle passioni degli uomini nella storia umana, tra chi ascolta e chi non ascolta la parola del Signore, gioco che Dio rispettoso della libertà degli uni e degli altri non impedisce; perciò ci saranno scandali entro la comunità cristiana stessa e la presenza del peccato di alcuni uomini di Chiesa. A questo realismo segue però una dura condanna. Gesù pronuncia la maledizione per coloro che li provocano. Dice parole durissime contro chi da scandalo: costui farebbe bene a gettarsi in mare con al collo una macina da mulino e annegarsi; invita a ricorrere a rimedi durissimi pur di evitare di dare scandalo: se è la mano o l’occhio che provoca lo scandalo, taglia la mano, taglia l’occhio... La questione è sempre la stessa: non scandalizzare i piccoli. La conclusione è meravigliosa: se gli uomini di Chiesa danno scandalo ai piccoli, i loro angeli stanno costantemente alla presenza del Padre celeste, vigilando e pregando, a loro protezione. Una chiara parola rivolta ai piccoli, a loro consolazione e sostegno della loro fede, prima che un avvertimento a chi da scandalo.
Dopo questa durissima condanna, l’evangelista richiama la parabola della pecorella smarrita. La dura condanna contro il peccato non toglie né la misericordia di Dio verso il peccatore né il suo amore misericordioso che vuole salvare il peccatore, liberarlo anche da quel peccato, mediante il suo perdono. Non dobbiamo trascurare questa parola del Signore. Dobbiamo capire quando siamo di fronte a scandali provocati da cristiani di distinguere tra azione scandalosa e atteggiamento da tenere verso chi da scandalo. Il peccato, l’azione peccaminosa e scandalosa è e resta peccato da condannare con la stessa adamantina trasparenza e durezza usata da Gesù Cristo. Il vostro parlare sia sì, sì, no, no; il resto viene dal maligno. Ma la condanna dell’azione non deve togliere al peccatore, alla persona del peccatore, la speranza del perdono di Dio, a patto che si converta. Dio non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva di nuovo. Questo non è buonismo: non si tratta di mandar giù tutto indiscriminatamente e poi di perdonare alla cieca. C’è una condizione precisa per ottenere il perdono: il convertirsi è l’istanza previa e necessaria per ottenere il perdono. Il figlio prodigo deve prima tornare a casa, riconoscendo davanti a Dio il male che ha fatto rifiutando di ascoltare la parola del Padre.
E se un fratello sbaglia? Qui passiamo ad altri problemi non gravissimi quanto lo scandalo. Il Signore ci invita a praticare la correzione fraterna, prima in privato, tra te e lui solo; poi tra te e qualche altro fratello e lui solo; solo alla fine si dovrà sottoporre il caso alla comunità stessa. Questa parola notevole ci aiuta a regolarci in simili situazioni. Essa esclude sia lo sparlare che il pettegolare di altri fratelli; sia l’immediata denuncia del fratello alla comunità cristiana. Il fine della correzione è appunto quello di ottenere non la punizione immediata ma la correzione del fratello. E se il fratello si ostina nel suo comportamento e offende gli altri? La risposta, dopo il tentativo di correzione è il perdono, nella linea dell’azione di Dio Padre che l’evangelista ricorda: Padre, condona a noi i nostri debiti come noi li condoniamo ai nostri debitori; cioè anche noi faremo lo stesso con i nostri fratelli. Un invito a dare ai fratelli nostri il perdono che Dio Padre ha concesso a tutti, noi compresi. (P. Giuseppe Pirola sj)